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DEDICATO A PAOLO MANTOVANI


Sono passati dieci anni, dieci anni giusto oggi. Ma il ricordo, quello no, non passa. Non si può dimenticare Paolo Mantovani, presidente di una Sampdoria stupenda, e quello che ha fatto per questa squadra: le coppe, lo scudetto del '91, uno stile unico e inimitabile. 

Paolo Mantovani, persona onesta e seria, innamorato perso della sua Samp e da lei ricambiato. L'amore e l'affetto dei tifosi blucerchiati non sbiadiscono, dopo dieci anni: si rinforzano ad ogni anniversario, crescono nelle vittorie che questa squadra sta ricominciando a conquistare. E sono vittorie per lui, Paolo Mantovani. 

Indimenticabile presidente.

 


Paolo Mantovani è stato colui che ha realizzato una parte dei sogni sportivi di noi doriani. Nato a Roma il 19 aprile 1930, è stato Presidente della Sampdoria dal 1979, rilevandola quando navigava in serie B.

 Di lui si diceva che avesse iniziato quale impiegato presso una società di navigazione, che avesse fatto fortuna vendendo cinque navi, che avesse fatto fortuna col petrolio, che avesse fatto fortuna interpretando in modo elastico il codice penale. Ma questo a noi poco importa...

Dopo due anni in tono minore, Paolo Mantovani creò per il campionato 1981-82 una grande squadra per vincere acquistando Scanziani e Manzo a centrocampo, Zanone, Sella e Garritano in attacco, dietro un difensore come "Mazinga" Guerrini si affiancò all'esperto Galdiolo. Dopo una partenza non brillante (in seguito alla quale la panchina passò da Riccomini ad Ulivieri), la marcia divenne inarrestabile e la serie A venne raggiunta con una giornata d'anticipo: 0-0 in casa col Rimini, due pali, ma fu sufficiente.

E Paolo Mantovani? Guardava con aria paterna quei ragazzi, con quel sorriso strano, quasi commosso, mentre le bandiere sventolavano nel sole di maggio ed i cori accompagnavano un'ascesa inarrestabile.

La serie A, subito da protagonisti: un titolo estivo, sulla prima pagina della Gazzetta dello Sport recitava "Con Francis, Brady e Mancini è una Samp da primi posti!".  Alla prima partita, in casa, la Juve dei Campioni del Mondo Zoff, Gentile, Cabrini, Tardelli, Scirea, "Pablito" Rossi, ai quali si erano aggiunti "rinforzi" quali Boniek e Platini. Ma l'eroe della giornata divenne Mauro Ferroni, terzino, che a centrocampo ruba palla a Rossi, salta Platini, evita Scirea, infila con un tiro dal limite dell'area Zoff. 

Seguirono, per la cronaca, la vittoria a S. Siro con l'Inter, reti di Francis e Mancini e quella in casa con la Roma, sempre Mancini. Venimmo ripresi, subito, ma il sogno stava lentamente diventando realtà.

 Quando il presidente non poteva venire lui allo stadio, era lo stadio ad andare da lui: erano in cinquemila i doriani a Lugano, a salutarlo, a respirare, per la prima volta da tanti anni, aria d'Europa. Vennero altri grandi campioni: Pari nel 1983, Vialli, Mannini e Salsano nel 1984, e fu la prima Coppa Italia in una notte incredibile del 1985.

Cerezo e Pagliuca vennero nel 1986, insieme al "Panzer" Hans Peter Briegel, nel 1988 Dossena, nel 1989 Katanec, Invernizzi e Lombardo; in panchina arrivò un uomo indimenticabile, per tanto motivi: Vujadin Boskov. Erano anni in cui, se un campione era in procinto di lasciare la sua squadra, secondo i giornali sportivi sarebbe venuto sicuramente da noi, nessun nome era proibito, anzi...

Qualcuno cominciava a parlare di scudetto, parola quasi sconosciuta nell'ambiente, e Paolo Mantovani raffreddava gli animi: "Scudetto alla Samp?" dichiarava "Sarebbe come pretendere che l'Italia, nell'atletica, battesse gli Stati Uniti. La potenzialità della città di Genova non può essere paragonata a quella di altre metropoli: vi è immobilismo imprenditoriale, i tifosi sono ipercritici, l'habitat è quello che è". Ed ancora: "potremmo tornare a lottare per il quattordicesimo posto, non ci sarebbe nulla di male...". Paolo Mantovani portò la Samp in Europa, una Samp protagonista ad alto livello.

Quale tifoso non ricorda l'epica partita con il Malines, o Mechelen che dir si voglia? La gioia di Cerezo che sblocca il risultato quando ormai si temeva che la porta avversaria fosse stregata, la cavalcata di Dossena che attraversa mezzo campo per saltare il portiere e deporre la palla in rete, ed il piccolo, grande Salsano che suggella l'incontro... Berna non ci portò fortuna, alla finale della Coppa delle Coppe: ricordo quella sera di pioggia, mezza squadra infortunata, l'arbitro doveva ancora fischiare il calcio d'inizio che già Bonomi si scaldava ai bordi del campo, pronto a rilevare chi? A fine partita Fausto Pari con l'espressione sconsolata guardò verso la curva ed allargò le braccia, a dire "abbiamo fatto il possibile".

Terza Coppa Italia, a Cremona, 4-0 contro il Napoli, ed ennesimo assalto alla Coppa delle Coppe.
Vennero eliminate, nell'ordine, Brann Bergen, Borussia Dortmund, Grasshoppers Zurigo e Monaco, prima della favolosa notte di Goteborg contro l'Anderlecht: sofferenza nei tempi regolamentari, poi Vialli ed ancora Vialli per il primo trionfo europeo dopo i tempi supplementari.

Si diceva che questi successi fossero il frutto di un rapporto speciale tra Paolo Mantovani ed i giocatori, un rapporto d'amore, paterno e filiale che nasceva nelle frequenti riunioni nella saletta del campo di Bogliasco, nella villa di Sant'Ilario od in sede, ove la sua porta era per loro sempre aperta. Si narrava che i contratti venissero firmati "in bianco", senza offerta né richiesta, perché l'importante non era il denaro.

Era l'anno dei Mondiali, l'entusiasmo di "Italia '90" aveva consegnato a Genova il nuovo, discusso Luigi Ferraris, nel quale la copertura non era in grado di riparare dalla pioggia neppure la Tribuna d'Onore ed in molti ordini di posti la partita veniva raccontata dai più fortunati. Era l'anno di quei mondiali in cui l'Italia ripudiò Vialli e Mancini per identificarsi in Baggio e "Totò" Schillaci.

Il campionato seguente avrebbe dovuto essere la parata delle stelle, la rivincita delle nazioni mondiali: chi puntava sulla Juventus degli italici Baggio e Schillaci, chi sulla tedesca Inter di Brehme, Matthaus e Klinsmann, chi sul Milan olandese di Gullit e Van Basten.

Giornata dopo giornata il sogno cominciò a sembrare sempre più realizzabile: soltanto la Juventus, a Torino, riuscì, tra le grandi, a salvare un punto contro la Samp, le altre collezionarono solo sconfitte, in casa come fuori. Fu, soprattutto nel girone di ritorno, una cavalcata inarrestabile. Nessun terreno era inespugnabile, grazie anche ad una dose di buona sorte, ma tutta l'Italia ci aspettava a S. Siro, per lo "spareggio" con l'Inter, indietro di tre punti a quattro giornate dal termine. Avremmo firmato tutti per uscire da quella bolgia con un punto, ma Pagliuca parò un rigore dell'infallibile Matthaus mentre Dossena e Vialli giustiziarono anche i nerazzurri.

Il tricolore, la "cosa" fino a quel giorno, fu nostro a Marassi il 19 maggio 1991, al termine di una partita che avrebbe dovuto essere da cardiopalma, vista la posta in palio, e non lo fu già dal secondo minuto, grazie all'eterno Toninho Cerezo che dal limite dell'area infilò il primo dei tre gol della giornata. Un gol come il secondo, al volo da quaranta metri, Mannini, grande campione, non lo realizzerà più finché vivrà. Un lungo applauso salutò Paolo Mantovani il giorno seguente al "Processo del Lunedi", un Paolo Mantovani commosso e nello stesso tempo raggiante, che aveva regalato a tutti noi un sogno d'infanzia.

Vinta la Supercoppa di Lega in estate, 1-0 contro la Roma, l'anno seguente fu Coppa dei Campioni, purtroppo persa nella finale di Londra, ma nessuno può dimenticare la partita di Sofia, 3-1 alla Stella Rossa di Belgrado, e la Finale di Wembley. Venne un nuovo ciclo, partì Vialli, e sulla nave guidata ora da Eriksson si imbarcarono nuovi campioni quali Jugovic, Gullit e Platt.

Paolo Mantovani ci fece andare di nuovo in Europa, ma questa volta non ci accompagnò. Lo accompagnammo noi, tutti, il giorno che se ne andò, perché quel giorno morì qualcosa in ognuno. Lo accompagnammo tutti, quel giorno, per salutarlo, per dirgli grazie. Nonostante il lutto, bandiere sventolarono, giovani e meno giovani indossarono le sciarpe con orgoglio, segni distintivi di una unica, grande, unita famiglia.


Grazie, Paolo.

 

Le foto più belle del ciclo Mantovani

 

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